L'autolesionismo e il ruolo dei social network
Autore
dott.ssa Laura Bruzzone
L'autolesionismo intenzionale
L’autolesionismo intenzionale è un atto deliberato e diretto per ferirsi, danneggiare i tessuti del corpo senza che vi sia un intento suicidario cosciente.
Quattro criteri come caratteristici dell’autolesività non suicidaria:
1. Nell’ultimo anno, l’individuo si è, per 5 o più giorni, provocato intenzionalmente danni alla superficie del corpo al fine probabilmente di causarne il sanguinamento, l’ecchimosi, o sentire dolore.
2. L’individuo si impegna nel comportamento autolesionista per ottenere sollievo da un malessere, per risolvere difficoltà o per stare meglio emotivamente, crea così una sorta di dipendenza dall’atto.
3. L’auto-ferimento intenzionale si associa a difficoltà interpersonali/sentimenti negativi prima dell’atto autolesivo; difficoltà a controllare il comportamento previsto e pensieri autolesivi anche quando non vengono agiti.
4. Il comportamento non è approvato socialmente.
5. Il comportamento o le sue conseguenze causano un disagio clinicamente significativo, interferenze interpersonali o scolastiche, o in altre aree importanti.
6. Il comportamento non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi psicotici, delirio, intossicazione da sostanze, o astinenza. Non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale o da una condizione medica.
Epidemiologia delle condotte autolesive
• Studi sistematici e longitudinali sottolineano come l’autolesionismo sia in crescente aumento nella popolazione non clinica, soprattutto adolescenziale (Goldstein et al; 2009; Gratz et al; 2012).
• Tra gli adolescenti l’incidenza varia dal 17% al 41%. (Whitlock et al; 2006; Cerutti et al; 2011).
• L’esordio si aggira tra i 12 e i 14 anni (Nock, 2009; Radham & Hawton, 2009).
• L’incidenza è maggiore nel sesso femminile (40-80%) (van der Kolk et al; 1991; Favazza, 1992; Whitlock et al, 2006b).
Ad oggi, tuttavia molti studi hanno rilevato che la differenza di genere è meno netta che in passato; ciò che differenzia i due gruppi è lo stile di auto ferimento e le modalità utilizzate: ad esempio il self-hitting (colpirsi da soli) è una modalità prevalentemente maschile, mentre il self-cutting (tagliarsi) è più frequente nelle donne.
Il ruolo dei social network e del web sull’autolesionismo
Spesso i ragazzi trovano in rete rifugi virtuali dove nascondersi, esprimere il proprio disagio e incontrare persone che vivono lo stesso tipo di malessere.
Quello che viene visualizzato in rete e sui social, senza gli adeguati filtri critici, che in adolescenza si stanno ancora affinando, può condizionare la psiche di questi ragazzi e li può influenzare nel loro modo di pensare e di comportarsi.
Sono migliaia i casi accertati di ragazzi che si procurano volontariamente ferite e poi le condividono su chat e social network. Si è visto che 7 ragazzi su 10, tra i 18 e i 21 anni, afferma di aver visto in rete immagini di altri ragazzi che si auto-feriscono. Questi giovani cercano sostegno emotivo nelle comunità online piuttosto che rivolgersi a genitori o professionisti.
Solo 1 ragazzo su 10 si rivolge a genitori o persone competenti, la metà dichiara di rivolgersi prevalentemente a ricerche online su google o su forum in cui altri ragazzi parlano di autolesionismo. Il problema è che in rete è facile trovare messaggi fuorvianti che spesso incoraggiano la messa in atto di condotte autolesive. I ragazzi condividono così, attraverso post e foto, la loro esperienza di self-harmer, le loro emozioni e sensazioni e spesso la consigliano ad altri coetanei come soluzione per attenuare stati d’animo negativi.
Ruolo di genitori e insegnanti
È importantissimo nella prevenzione e soprattutto nel riconoscimento dei primi segnali che possono fare pensare che rispettivamente, un alunno o il proprio figlio abbiano un problema di autolesionismo.
Una volta accertato tale problema è importante non colpevolizzare né mortificare il ragazzo, ma fargli percepire sostegno e comprensione e incentivarlo a rivolgersi a professionisti competenti.
Trattamento
Il trattamento più strutturato e validato per intervenire sulle condotte autolesive è la DBT, Dialectical Behavioral Therapy (Miller, Rathus e Linehan, 2007).
La DBT vede il comportamento suicidario come un metodo appreso di coping in presenza di una intensa sofferenza emotiva:
• Insegna specifiche abilità di efficienza interpersonale, auto-regolazione e tolleranza dello stress;
• Rinforza le abilità positive apprese;
• Identifica i comportamenti appresi che precedono i comportamenti disfunzionali, eliminando se possibile gli elementi di rinforzo;
• Incoraggia la generalizzazione alla vita quotidiana delle nuove abilità.