Come affrontano la psicoterapia le persone con Disturbo Evitante di Personalità?
Autore
Vittoria Brullo
Le persone con disturbo evitante di personalità mostrano paura del rifiuto, sentimenti di inadeguatezza, difficoltà a relazionarsi con gli altri, ad identificare i propri stati interni e capire che quelli altrui potrebbero essere diversi dai loro, hanno una minore capacità autoriflessiva (che li aiuterebbe a regolare l’affettività nei contesti relazionali) e, spesso, impiegano risposte di difesa evitanti che risultano disfunzionali, ma che hanno lo scopo di preservare la coerenza di sé (self-coherence) e fronteggiare la paura del rifiuto.
Queste persone temono, ma al tempo stesso, desiderano la relazione con gli altri.
La psicoterapia per questa tipologia di disturbo di personalità risulta essere molto utile (indipendentemente dall’orientamento utilizzato) e gli obiettivi che, di solito, si cercano di raggiungere con personalità evitanti sono: trovare il coraggio per affrontare le situazioni senza che la paura del giudizio altrui influenzi il loro stato d’animo, raggiungere una maggiore fiducia in se stessi e sentirsi liberi dalle valutazione altrui, diventando così capaci di scegliere da soli cosa sentire, pensare e fare.
“Ho bisogno di forza interiore e di riuscire a fidarmi e credere in me stesso. Devo pensare di essere meritevole come tutti gli altri. Desidero solo stare bene “.
Ma queste persone come valutano l’esperienza terapeutica?
Nel contesto relazionale della terapia la sfida principale è quella di entrare in una relazione di reciproca complementarietà (questo richiede che paziente e terapeuta abbiano obiettivi comuni e instaurino un legame emotivo), aspetto difficile da affrontare con una persona evitante riguarda il riflettere coerentemente sulle proprie esperienze di vita e sul fronteggiare le sfide relazionali della loro vita quotidiana.
Inizialmente questi soggetti riportano il desiderio di essere gestiti dal terapeuta, ma man mano che il trattamento progredisce descrivono un senso di crescente disconnessione e distacco che si accentua quando il terapeuta fornisce risposte e prescrive soluzioni e indicazioni, perché allo stesso tempo né si sentono in grado di farsi comprendere, né si sentono compresi. Diminuisce, in questi casi, la loro speranza di raggiungere gli obiettivi che si erano posti con fiducia, coraggio e libertà, e aumenta invece il loro malcontento che li porta ad essere sempre più distaccati dal terapeuta.
Al contrario, quando percepiscono di svolgere un ruolo attivo all’interno della terapia e si sentono compresi e accettati come persone dal terapeuta, si osserva un aumento del senso di vitalità ed iniziativa; risulta quindi fondamentale creare un clima di fiducia e sicurezza, favorendo così la possibilità di cambiamento e di sviluppo che permette a queste persone di affrontare e superare paure e insicurezze, grazie all’apprendimento di nuovi modi di pensare e percepire se stessi e gli altri.
“In relazione ai miei schemi maladattivi … ho iniziato a riflettere su tutti i miei schemi scrivendone quelli che che hanno ottenuto un punteggio più alto, e ho iniziato a pensare a cosa può aver contribuito a svilupparli. Poi ho dialogato con me stesso cercando di capire se questi schemi debbano avere potere su di me oggi. Se è stato qualcosa che è accaduto allora (nel mio passato), e se posso fare qualcosa al riguardo, adesso, in modo che tali schemi non abbiano il controllo su di me oggi (nel mio presente)".