Violenza di genere e diritto a trattamenti efficaci
Autore
dott.ssa Veronica Colaianni
Il tema della violenza di genere
Il tema della violenza di genere ha finalmente trovato il suo spazio nel dibattito pubblico: notiziari, programmi di approfondimento, campagne elettorali, e anche l’agenda politica di chi ci governa non manca di ricordarci quanto un intervento sia importante per scongiurare la morte o le lesioni che ogni anno vede come vittime almeno un centinaio di donne (i dati riportano circa 120/140 donne uccise ogni anno in Italia).
Non mi dilungherò su quanto ci sia ancora da fare, su quanto siano esigui i fondi destinati agli interventi di contrasto al fenomeno, su quanto i media ancora continuino a parlare di femminicidio con parole che non restituiscono la realtà del fenomeno, ma anzi spesso lo minimizzano o lo edulcorano.
Voglio invece soffermarmi sul fatto (positivo) che il tema violenza domestica sia uscito dal dibattito di stretti cenacoli femministi per diventare oggetto di riguardo e di attenzione.
I meriti dell’attivismo femminista
Proprio l’attivismo femminista ha grandi meriti: i primi centri antiviolenza in Italia e nel mondo nascono proprio grazie alla presa di coscienza femminista e all’attivismo di tante donne coraggiose.
Le stesse che hanno dato vita al movimento #MeToo.
Si deve ancora al femminismo l’aver sottolineato quanto la violenza maschile sia un fenomeno che trova il suo terreno fertile in una cultura patriarcale, dove la sottomissione della donna è una nota di sottofondo tanto presente da risultare difficile da individuare e rendere consapevole.
La cultura contemporanea, intrisa di liberismo sfrenato e di consumismo, se da una parte ha fatto propria una certa libertà sessuale e nei costumi e ha sostenuto l’emancipazione femminile, dall’altra ha portato ad una mercificazione della donna tanto forte e violenta, da farci (quasi!) rimpiangere il buio medioevo.
La ricerca in psicologia sulla violenza domestica
La ricerca in psicologia sulla violenza domestica ci riporta che il fenomeno è multifattoriale: le cause sono molteplici.
È bene intervenire sull’autore di violenza, che prima di tutto è autore di un reato, oltretutto ad alta recidiva. Sebbene non sia possibile rintracciare un profilo specifico per l’autore di violenza (la violenza è trasversale rispetto ad età, situazione socioeconomica, provenienza…), le ricerche sottolineano come alcuni tratti o disturbi di personalità siano maggiormente a rischio rispetto alla messa in atto di comportamenti di coercizione verso le proprie compagne, volti ad ottenere potere e controllo nella relazione.
Inoltre in molti di questi uomini è possibile osservare una ferrea adesione a modelli di comportamento nelle relazioni con l’altro sesso improntati a stereotipi di genere rigidi e fortemente svalutanti la figura femminile e che “autorizzano”, in modo più o meno diretto, alla messa in atto di comportamenti volti a controllare, isolare, manipolare, intimidire, umiliare e ledere la personalità, il corpo e l’autonomia della donna.
La società tutta ha ancora oggi una certa responsabilità nella perpetuazione di modelli e stereotipi di genere che giustificano o minimizzano il comportamento maschile volto alla coercizione.
Le donne non trovano attorno a sé solidarietà e sostegno rispetto ai reati che subiscono e spesso non trovano il coraggio di denunciare o di allontanarsi da chi infligge loro maltrattamenti e abusi.
Lavorare a livello psico-culturale con i professionisti
Per tutti questi motivi è fondamentale lavorare ad un livello psico-culturale, ovvero su quei ruoli di genere, su quei modelli di comportamento interiorizzati che vengono appresi non solo all’interno del processo di socializzazione primaria, ma anche sostenuti e rinforzati dalla cultura di riferimento, ancora troppo ancorata ad un modello patriarcale di rapporto tra i sessi.
È importantissimo che i professionisti che si occupano del trattamento dell’autore di violenza abbiano una preparazione specifica, non solo sulla violenza, ma anche e soprattutto abbiano la capacità di lavorare e modificare quei modelli operativi interni, quei modelli culturali interiorizzati che sottendono il comportamento violento, nonché su aspetti di fragilità a carico della personalità o altri aspetti sintomatologici che si trovano correlati.
E questi professionisti sono chiaramente gli psicoterapeuti.
Coloro che invece si occupano del sostegno delle vittime devono essere professionisti preparati, tra le altre cose, a lavorare su elementi e sintomi post traumatici importanti.
Il diritto ad un trattamento efficace: psicologi e psicoterapeuti in primis
La formazione è assente o variegata. Nel libero mercato della formazione c’è anche chi, sottolineando con forza l’origine culturale e patriarcale della violenza maschile, arriva a sostenere la completa inutilità degli psicologi in un percorso di uscita dalla violenza.
Troppo spesso chi si occupa a livello psicologico di violenza di genere viene comunemente definito genericamente “operatore”, occultando in questo modo la formazione universitaria e post universitaria necessaria.
Oltre ai soliti mantra “all’università non si impara nulla” o “l’empatia è una cosa che non si apprende in un corso universitario”, il riconoscimento di aspetti culturali coinvolti nel fenomeno della violenza di genere rischia di essere un cavallo di troia per quanti pretendono di operare in un terreno, quello psichico, che non gli compete e dove si ritrovano impreparati.
Ma l’aspetto più importante è che chi davvero subisce i danni di tali pretese sono soprattutto le persone coinvolte, ovvero le vittime e gli autori di maltrattamento.
L’importanza dei ruoli e di un intervento multidisciplinare
Le persone infatti hanno diritto a ricevere un intervento multidisciplinare, dove le varie figure siano chiaramente identificate (avvocato, assistente sociale, medico, psicologo, …). Sembra incredibile che in un terreno così delicato, rischioso, denso di responsabilità come la violenza domestica si debba ricordare quanto la competenza dello psicologo/psicoterapeuta sia fondamentale.
Anni fa sono incappata in un laureato in lettere, sedicente counselor, che conduce gruppi terapeutici per autori di violenza. Mio malgrado ho scoperto che è solo uno dei tanti che dietro l’etichetta “operatore” fa palesemente abuso di professione.
Non solo: c’è chi ha l’ardire di fare anche formazione, farcendo le sue lezioni di racconti su presunti fallimenti degli psicologi. Insomma diffondendo falsità e stereotipi sulla figura dello psicologo, contribuendo a creare sfiducia e a far sentire ancora più sole quelle persone che vogliono cambiare, migliorare le proprie capacità di stare in relazione ed uscire dalla violenza.
Il necessario studio e riconoscimento degli aspetti culturali coinvolti nell’origine e nella perpetuazione della violenza, non deve essere cioè il tentativo per negare l’aspetto psico-sanitario del trattamento, aprendo le porte ad abusi di professione.
Come psicologi e psicoterapeuti siamo chiamati a tutelare la nostra professione da possibili abusi e tentativi di esclusione rispetto a terreni di intervento, dove, inutile ricordarlo, la nostra competenza è fondamentale. Questo perseguendo il fine più importante: la tutela e la salute dei pazienti.