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Contro lo stress

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Contro lo stress è meglio un caffè che una camomilla

Autore

Martina Levy

Come è noto, lo stress produce numerosi fattori di rischio nell’individuo sia a livello psicologico che fisico. In particolare, situazioni di stress cronico aumentano il rischio sia di sviluppare il disturbo depressivo maggiore (DDM), che, a livello cognitivo, di produrre perdite di memoria e di concentrazione.

Si osserva che spesso gli individui sottoposti a periodi di stress tendono ad assumere maggiori quantità di caffè; questo fatto potrebbe indurre a pensare che la caffeina, essendo una sostanza eccitante, possa risultare ulteriormente dannosa su persone sottoposte ad una vita frenetica.
Tuttavia, uno studio pubblicato nel 2015 da Kaster e coll. sulla rivista specialistica Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America smentisce questa opinione, evidenziando invece l’esistenza di una correlazione negativa tra il consumo di caffeina e particolari disturbi psichiatrici.

La caffeina riduce gli effetti dello stress cronico

L’assunzione posta alla base della ricerca era che le molecole di caffeina avessero la funzione di bloccare i recettori del neurotrasmettitore inibitorio adenosina, con la conseguenza di ridurre gli effetti negativi legati allo stress cronico.

I ricercatori hanno effettuato lo studio sottoponendo un gruppo di topi a dure condizioni di stress (ad esempio: privazioni di cibo, gabbie inclinate, condizioni di eccessiva umidità, ecc.) riscontrando sia variazioni nel comportamento che, successivamente attraverso esami autoptici, effetti neurologici su alcune zone del cervello: in particolare è emerso che nella zona dell’ippocampo (centro importante per le funzioni legate alla memoria e all’inibizione comportamentale) numerose sinapsi si erano atrofizzate.

L’esperimento proseguì introducendo altri due gruppi di topi: un gruppo trattato per prolungati periodi di tempo con caffeina o con un farmaco antagonista dell’adenosina, e un gruppo di controllo trattato solo con acqua, studiando poi le modalità comportamentali di entrambi. Metà di ciascun gruppo è stato poi sottoposto alle stesse condizioni di stress sopra citate, per 3 settimane.

Nuovamente furono osservati gli esiti comportamentali. Infine le cavie sono state sacrificate per poterne poi osservare gli effetti a livello neurologico.

Caffeina quale possibile trattamento terapeutico

Da questi studi è emerso che l’uso di inibitori del recettore per l’adenosina, come la caffeina, non solo possono avere un impiego profilattico, ma anche costituire un possibile trattamento terapeutico.

È curioso come uno dei consigli che le nostre nonne ci davano fosse proprio quello di bere caffè quando ci sentivamo “giù, tristi e depressi”.

I risultati di queste ricerche quindi non soltanto confermano alcune abitudini che negli ultimi anni erano state criticate, ma offre opportunità di nuove terapie per i disturbi dell’umore.
La tendenza delle persone stressate a bere più caffè potrebbe indicare, quindi, un tentativo inconsapevole da parte dell’organismo di proteggersi dai rischi legati allo stress cronico.

Terapia antidepressiva a base di caffeina
Inoltre, nel 1970 un gruppo di scienziati della Tufts University aveva già evidenziato la possibilità di usare la deprivazione del sonno acuta nella fase REM come trattamento per il disturbo depressivo maggiore, senza però averne individuato le cause. In uno studio successivo, pubblicato nel 2012 da Hines et al. (Antidepressant effects of sleep deprivation require astrocyte-dependent adenosine mediated signalling), la causa dell’efficacia del trattamento è stata attribuita alla regolazione della concentrazione di adenosina a livello neurologico.

In questo caso, nell’esperimento si sono simulati gli effetti della deprivazione del sonno utilizzando un agonista dell’adenosina, diminuendone la concentrazione.
I risultati hanno evidenziato che i sintomi della depressione diminuivano già dopo 12 ore, senza tuttavia conservare effetti rilevanti a lungo termine.

Può dunque esserci un collegamento tra l’effetto antagonista della caffeina nei confronti dell’adenosina nel controllo sonno-veglia e il suo effetto nei confronti dello stress cronico.
Si potrebbe, infine, ipotizzare un possibile uso della caffeina come primo trattamento a breve termine anche per la terapia antidepressiva, proprio per i suoi effetti sul ritmo sonno-veglia, in relazione al suo ruolo esercitato sui recettori dell’adenosina.

A proposito dell’Istituto il Miller
Istituto il Miller, istituto di psicologia e psicoterapia cognitivo comportamentale, ha un’area clinica composta da numerosi Psicoterapeuti, ognuno dei quali con specifiche specializzazioni per il trattamento di ogni tipologia di disturbo psicologico.

Per avere informazioni più dettagliate, vi rimandiamo alla pagina: [I nostri terapeuti]

Terapia antidepressiva a base di caffeina

Inoltre, nel 1970 un gruppo di scienziati della Tufts University aveva già evidenziato la possibilità di usare la deprivazione del sonno acuta nella fase REM come trattamento per il disturbo depressivo maggiore, senza però averne individuato le cause. In uno studio successivo, pubblicato nel 2012 da Hines et al. (Antidepressant effects of sleep deprivation require astrocyte-dependent adenosine mediated signalling), la causa dell’efficacia del trattamento è stata attribuita alla regolazione della concentrazione di adenosina a livello neurologico.

In questo caso, nell’esperimento si sono simulati gli effetti della deprivazione del sonno utilizzando un agonista dell’adenosina, diminuendone la concentrazione.
I risultati hanno evidenziato che i sintomi della depressione diminuivano già dopo 12 ore, senza tuttavia conservare effetti rilevanti a lungo termine.

Può dunque esserci un collegamento tra l’effetto antagonista della caffeina nei confronti dell’adenosina nel controllo sonno-veglia e il suo effetto nei confronti dello stress cronico.
Si potrebbe, infine, ipotizzare un possibile uso della caffeina come primo trattamento a breve termine anche per la terapia antidepressiva, proprio per i suoi effetti sul ritmo sonno-veglia, in relazione al suo ruolo esercitato sui recettori dell’adenosina.

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