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Trattare il disturbo da deficit d’attenzione

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Trattare il disturbo da deficit d'attenzione col neurofeedback

Autore

Dott.ssa Simona Calzone

Introduzione all’ADHD, il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da iperattività, impulsività e difficoltà a mantenere la concentrazione. Queste principali caratteristiche possono presentarsi singolarmente o in maniera combinata con la prevalenza di uno o più tratti.

Il disturbo coinvolge circa il 3-5% dei bambini in età scolare, che mostrano difficoltà a mantenere l’attenzione e a concentrarsi, hanno la tendenza ad agire in maniera impulsiva senza pensare a quello che stanno facendo, non riescono ad autoregolare il proprio comportamento sulla base dei feeedback provenienti dall’esterno e spesso hanno necessità di muoversi.

Approfondendo le varie teorie eziologiche, studi sull’attività EEG hanno riportato che nelle zone frontali del sistema nervoso centrale di questi bambini è presente un’eccessiva ampiezza di onde in bassa frequenza (theta) e un’anomala riduzione dell’ampiezza di onde ad alta frequenza (beta). Partendo da queste considerazioni sono stati sviluppati per l’ADHD diversi protocolli di intervento utilizzando il neurofeedback, una procedura basata sul condizionamento operante volta a favorire l’apprendimento di nuove abilità stimolando l’auto-regolazione dell’attività cerebrale.

Trattamento dell’ADHD con il neurofeedback

Queste modificazioni avvengono normalmente ogniqualvolta si impara qualcosa. Ecco come il neurofeedback trova applicazione nel trattamento dell’ADHD.

Il neuroefeedback è, infatti, un apprendimento di tipo procedurale. È quindi una terapia biologica, ma non farmacologica, capace cioè di modificare le connessioni tra i neuroni e quindi la funzionalità del sistema nervoso centrale senza un intervento di tipo biochimico.

Osservando il funzionamento cerebrale di bambini con ADHD si può notare che vi è un’eccessiva attività delle onde lente (Theta) a scapito di quelle più rapide (Beta); quando nelle aree frontali (sede delle funzioni esecutive) è presente un ammontare eccessivo di onde lente risulta difficile controllare l’attenzione e il comportamento.

Come già detto, spesso tutto questo è associato anche ad una scarsa potenza di onde rapide (Beta) e di onde SMR (ritmo sensorimotorio) che si traduce in un mancato controllo degli impulsi e del comportamento motorio, oltre che in una difficoltà a focalizzare e mantenere l’attenzione, in carenze della memoria di lavoro e in difficoltà di apprendimento. Per questi soggetti risulta quindi difficile impegnarsi in performance scolastiche che richiedono mantenimento della concentrazione, controllo comportamentale ed emotivo.

Riassumendo quindi i tre parametri che sono stati maggiormente utilizzati nel lavoro di neurofeedback con bambini con ADHD sono: le onde Theta (4-8 Hz), le onde Beta (15-20 Hz) e il ritmo SMR (12-15 Hz).

Procedura con neurofeedback

Con il neurofeedback si può esercitare la regolazione di quelle funzioni che sono necessarie per i processi di apprendimento. La scelta del protocollo di lavoro da utilizzare si basa un’elettroencefalografia quantitativa (qEEG), che darà indicazioni su quali parametri utilizzare e in che direzione modificarli.

Come detto precedentemente, per i bambini i protocolli classici hanno come obiettivo principale la diminuzione delle onde lente e il contemporaneo aumento delle onde rapide e di SMR, ma a volte si lavora anche sulle onde Alpha.

La procedura inizia con il montaggio dei sensori in punti precisi dello scalpo, con l’utilizzo di una pasta abrasiva e di un gel conduttivo. Tali sensori sono poi collegati a un amplificatore che permette di registrare e trasferire gli impulsi elettrici provenienti dal cervello (onde elettromagnetiche) ad un computer che elabora i dati ricevuti e li trasforma in un gioco o filmato DVD che appare sullo schermo.

Successivamente si impostano le bande di frequenza sulle quali si intende lavorare; cambiamenti della frequenza di queste specifiche onde si riferiscono ad una diversa attività cerebrale. Il bambino è invitato ad osservare la sua attività cerebrale e come questa influenzi l’esito del gioco proposto; infatti il grado di attenzione del bambino modifica quello che appare sullo schermo. Attraverso la concentrazione il bambino è in grado di controllare il gioco o il filmato DVD che gli viene proposto.
Allo stesso modo, quando il livello di attenzione diminuisce, il gioco si modifica o si interrompe, così che il bambino ha un feedback immediato sul suo stato di attenzione ed interazione con il mondo esterno; viene perciò invitato dall’operatore a provare a modificare il proprio stato al fine di ottenere una modificazione sullo schermo. Inizialmente il bambino non sa cosa fare per far sì che il gioco o il cartone animato vada avanti, ma dopo diversi tentativi imparerà a farlo e attraverso l’allenamento continuo migliorerà questa sua nuova abilità.

Il neurofeedback, quindi, permette ai bambini con difficoltà di attenzione di capire che cosa significhi lavorare in maniera concentrata e rilassata e come raggiungere volontariamente questo stato.

Durata del training

Mediamente, un training completo prevede circa 40 sedute. La frequenza ottimale è di due sedute a settimana. Ogni singola sessione di allenamento ha una durata media che va dai 20 ai 40 minuti di effettivo lavoro, non considerando quindi il montaggio e lo smontaggio dei sensori.

Studi sull’efficacia del trattamento di soggetti ADHD con neurofeedback

Gli studi scientifici sul neurofeedback hanno spesso messo a confronto la tecnica con i trattamenti farmacologici.

L’efficacia dei farmaci stimolanti rispetto al trattamento dell’ADHD è stata ben dimostrata (Barkeley, 1990) e gli studi di controllo attivo che confrontano il neurofeedback con tale trattamento farmacologico hanno dimostrato come questo sia ugualmente efficace nel ridurre la sintomatologia dell’ADHD nei bambini (Fuchs, Birmaumer, Lutzenberg, Gruzelier e Kaiswr 2003; Rossiter e La Vaque, 1995).

Se fino ad ora la maggior parte degli studi sottolineavano come i due diversi tipi di trattamento si eguagliassero nei risultati, seppur con le dovute differenze dovute a effetti collaterali e cambiamento della qualità della vita, un recente studio ha invece preso in considerazione anche valutazioni di follow-up a due e sei mesi.

La ricerca è una prova randomizzata e controllata che mira a valutare l‘efficacia del neurofeedback (NF) rispetto all’intervento farmacologico standard (metilfenidato) nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD).

Il comportamento è stato analizzato attraverso scale di valutazione che sono state compilate sia dai genitori che dagli insegnanti in momenti diversi dello studio:
• Prima del trattamento (pre);
• Dopo il trattamento (post), ovvero 5 mesi dopo l’assunzione regolare di metilfenidato per il gruppo in trattamento farmacologico;
• Al termine di 40 sedute per il gruppo trattato con NF, e nei due follow-up a 2 e 6 mesi dalla fine del trattamento.

I risultati raggiunti forniscono nuovi elementi di prova per l’efficacia del Neurofeedback, e contribuiscono ad allargare la gamma di interventi di tipo non-farmacologico nel trattamento dell’ADHD.

Per entrambi i gruppi, infatti, si parla di significative riduzioni sia dei sintomi primari che della compromissione funzionale, rilevate attraverso appositi questionari compilati, tuttavia, un significativo miglioramento delle prestazioni accademiche è stato rilevato solo nel gruppo che ha effettuato le sedute di neurofeedback.

Per quanto riguarda le valutazioni di follow-up, i ricercatori hanno osservato che i partecipanti che hanno ricevuto il NF mantengono i miglioramenti conseguiti due e anche sei mesi dopo aver completato il trattamento. Tuttavia, va segnalato che non tutti i soggetti sono rimasti privi di farmaci, quindi bisogna interpretare questi risultati con attenzione.

Il limite principale di questo studio è il suo piccolo campione (solo 23 soggetti).

Altresì, l’importanza di questo studio sta nell’essere il primo studio controllato che confronta NF e farmaci stimolanti utilizzando più valutatori (madri, padri e insegnanti). Inoltre, l’inclusione del parametro “rendimento scolastico” e due misure di follow-up rende questa analisi sull’efficacia del neurofeedback più completa.

Infatti, proprio l’introduzione di due misure di follow-up è stata assai utile per dimostrare che, dopo due mesi, la maggior parte dei bambini trattati con neurofeedback sono in grado di mantenere molti dei loro progressi e anche di continuare a migliorare. Inoltre, gli autori riferiscono che uno su tre di questi bambini è in grado di mantenere molti dei miglioramenti anche dopo sei mesi.

Questi risultati, particolarmente positivi per il NF, suggeriscono che stimolare attivamente il cervello può produrre determinati effetti benefici duraturi, in contrasto con l’intervento farmacologico efficace sì, ma pur sempre sintomatico. Tuttavia gli autori affermano che si sono mescolati alcuni effetti dei farmaci, soprattutto nella seconda valutazione di follow-up, e suggeriscono in futuro di prendere in considerazione anche questo aspetto per poter aggiungere nuove conoscenze in merito all’efficacia dei trattamenti considerati.

Conclusioni

Abbiamo visto come la ricerca scientifica, oltre alla pratica clinica, dimostri l’efficacia del neurofeedback per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione ed iperattività.
Il neurofeedback, oltre ad essere considerato come un intervento alternativo al trattamento farmacologico, va ovviamente inserito in un contesto psicoterapeutico più ampio, dove si prenda in considerazione il bambino, la famiglia e la scuola come soggetti attivi del percorso di sviluppo e cambiamento.

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